12 km in bici per la tua spesa: la verità amara dietro un clic
Immaginate la scena: 12 chilometri in bicicletta, pedalando tra il traffico, magari sotto il sole cocente o la pioggia battente. La missione? Consegnare la spesa di un cliente: 15 prodotti tra cui affettati sottomarca, una torta confezionata e succhi di frutta sotto marca. Il tutto, da Carrefour Corso Cadore fino a Rivodora, con una stima di consegna di 44 minuti.
E per questa fatica, per questo servizio che porta comodità nelle case? Un compenso lordo di 8,90 euro, che si traduce in un misero netto di 7,11 euro. Un numero che fa riflettere, che stride con l'impegno e la dedizione necessari per portare a termine la consegna.
Ma oltre allo sdegno, per la mancata coscienza del cliente per aver ordinato cose futili e trovabili sotto casa, rimane un'amarezza profonda per i parametri che guidano le varie applicazioni di delivery. Parametri che spesso allungano a dismisura le distanze da percorrere, rendendo il nostro lavoro ancora più estenuante e la retribuzione ancora più inadeguata.
E come non ricordare le promesse fatte dalla sigla UGL nel lontano 2020, quando stipularono quel contratto che molti definirono "pirata", promettendo una tariffa oraria di 11 euro? Promesse che oggi, nel 2025, suonano come una beffa, un lontano ricordo di un'illusione svanita.
Oggi, le applicazioni si trovano di fronte a un bivio. Anni di sentenze sfavorevoli e una direttiva europea che finalmente inquadra i rider come lavoratori subordinati le costringono a rivedere i contratti. Una scelta, diciamocelo chiaramente, dettata più dalla necessità che da una reale volontà di riconoscere i nostri diritti e il giusto valore del nostro lavoro.
Questa "revisione" suona più come una mossa strategica, un tentativo di adattarsi alle nuove normative nel modo più conveniente possibile, mantenendo, se possibile, margini di guadagno elevati a scapito di chi pedala ogni giorno per garantire il servizio.
La verità è che dietro la comodità di un clic, dietro la spesa che arriva direttamente a casa, c'è il sudore, la fatica e spesso la frustrazione di lavoratori che si sentono invisibili e mal pagati. È tempo di guardare oltre l'app, di considerare il costo umano di questa comodità e di chiedere un cambiamento vero, che riconosca la dignità e il giusto compenso per ogni chilometro percorso.
Ancora una volta siamo qui a denunciare una prassi inaccettabile e profondamente ingiusta nel mondo del delivery: le applicazioni continuano a scaricare sui rider ogni singola responsabilità relativa al mezzo di trasporto! Che sia la manutenzione ordinaria, le riparazioni impreviste, l'assicurazione o, peggio ancora, eventuali danni causati a terzi, la patata bollente finisce sempre nelle nostre mani, nelle tasche già fin troppo vuote di chi pedala per portare a termine le consegne.
Il mezzo è il nostro strumento di lavoro, senza il quale non potremmo svolgere la nostra attività. È assurdo e iniquo che le piattaforme, che traggono profitto dal nostro lavoro, si lavino le mani da qualsiasi responsabilità e costo legato al suo mantenimento e alla sua operatività.
E poi c'è la farsa, la presa in giro del riconoscimento facciale spacciato come strumento per contrastare il caporalato. Ma diciamocelo chiaramente: è una misura INADEGUATA ! Un mero specchietto per le allodole che non scalfisce minimamente il vero problema dello sfruttamento
Non siamo semplici esecutori, siamo la spina dorsale di questo sistema! Meritiamo rispetto, tutele e condizioni di lavoro dignitose. La risposta è un contratto di lavoro equo, che riconosca i nostri diritti, che si faccia carico delle responsabilità legate al mezzo e che ci retribuisca in modo giusto per la fatica che compiamo ogni giorno.
Guardate il video qui sotto e condividete la nostra denuncia! È ora di far sentire la nostra voce e di pretendere un cambiamento vero!
Commenti
Posta un commento