Quando la Fame Non Vede la Tempesta - La Fragile Sicurezza dei Rider


 La pioggia batte incessante sui vetri, il vento ulula e l'idea di uscire di casa ci fa rabbrividire. Eppure, mentre noi ci rannicchiamo al caldo, c'è chi è là fuori, in sella alla sua bicicletta o scooter, sfidando gli elementi per portarci la cena calda. Sono i rider, gli invisibili eroi del nostro quotidiano, la cui sicurezza troppo spesso viene sacrificata sull'altare della nostra "fame" immediata.

Da tempo, come voci che cercano di farsi sentire nel frastuono della città, abbiamo sollevato un grido d'allarme: l'appetito non si ferma con il maltempo, ma la salute e la sicurezza dei rider dovrebbero essere una priorità assoluta per le aziende di delivery.

La risposta che puntualmente riceviamo dalle grandi piattaforme è un mantra stanco e ipocrita: "Sono lavoratori autonomi, la scelta di lavorare o meno spetta a loro." Una difesa che suona beffarda se analizzata alla luce della realtà.

Dietro la facciata dell'autonomia si cela un sistema perverso, orchestrato da algoritmi implacabili. Questi software valutano costantemente la "presenza" online dei rider e le loro "performance" (velocità di consegna, numero di ordini accettati, recensioni dei clienti). In questo contesto, la "scelta" di non lavorare in condizioni avverse diventa una chimera. Rimanere offline significa rischiare di essere penalizzati, di vedere ridotta la propria visibilità e, di conseguenza, le proprie opportunità di guadagno. La pressione è silente ma costante, un guinzaglio invisibile che li spinge a pedalare anche sotto la tempesta.

Ma la responsabilità non può e non deve ricadere unicamente sulle spalle di questi lavoratori. È un sistema che necessita di un cambio di paradigma radicale. Le aziende devono smettere di trincerarsi dietro una comoda etichetta di autonomia e iniziare ad agire concretamente per tutelare i propri collaboratori. Protocolli chiari per la sospensione delle consegne in caso di maltempo, dotazioni di sicurezza adeguate, eque condizioni di lavoro sono solo alcuni dei passi necessari.

E poi ci siamo noi, i clienti. Siamo pronti a indignarci e a condividere sui social la foto del rider ferito, ma siamo altrettanto pronti a rinunciare a quella pizza fumante quando fuori infuria il diluvio? La nostra "fame" può davvero valere il rischio che un lavoratore si faccia male?

Crediamo fermamente che anche il cliente debba fare la sua parte. Non basta scandalizzarsi di fronte alla tragedia. Dobbiamo "placcare quella fame" che ci rende ciechi di fronte alla realtà: fuori dalla nostra finestra confortevole, c'è un essere umano, spesso precario e mal pagato, che sta mettendo a rischio la propria incolumità per portarci un hamburger o un sushi.

Impariamo a guardare oltre il nostro desiderio immediato. Impariamo a considerare le condizioni in cui lavorano queste persone. Un piccolo gesto di consapevolezza da parte nostra – rimandare un ordine quando il tempo è proibitivo – può fare una grande differenza.

La sicurezza dei rider non è un optional, è un imperativo etico e sociale. È ora che le aziende si assumano le proprie responsabilità, che le istituzioni intervengano per colmare un vuoto normativo e che noi, come consumatori, diventiamo parte attiva di un cambiamento necessario. Perché quella pizza, quel panino, non possono e non devono costare la salute o la vita di nessuno.

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