Caro amico ti scrivo così NON TI DISTRAI UN PO

 


Ormai non mi stupisco più di nulla. Siamo reperibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La linea di demarcazione tra vita lavorativa e vita privata, per chi fa il mio mestiere, è quasi inesistente. Quello che mi ha davvero indignato, però, è stata la gestione di questa situazione.

​Lavoro per l'unica azienda del settore delivery che inquadra i rider come lavoratori subordinati. Eppure, proprio da loro ho ricevuto una lettera di contestazione disciplinare 14 giorni dopo il presunto fatto, e per di più nel pieno delle mie ferie.

​La beffa del "diritto alla disconnessione"

​Mi chiedo, e lo chiedo a voi, cosa sarebbe successo se mi fossi trovato in un luogo isolato e senza telefono? Con un tempo di risposta di soli 10 giorni, non avrei potuto visualizzare la lettera né difendermi. Questa situazione non solo viola il mio diritto alla disconnessione, ma mina anche il mio diritto alla difesa.

​L'azienda sa perfettamente che con uno stipendio di 860 euro (tredicesima, quattordicesima e un rimborso spese irrisorio di 0,15 centesimi a chilometro inclusi) non posso andare molto lontano. Sa anche che, dopo quattro anni di contratto, sono costretto a controllare l'applicazione in continuazione per vedere il mancato rispetto delle disponibilità che do. Tutto questo, a confronto con la vicenda che mi è capitata, sono sciocchezze.

​Un errore con conseguenze reali

​Il 9 agosto, mentre ero in ferie, ho ricevuto una contestazione per un'assenza ingiustificata del 25 luglio. L'accusa? Non aver inviato il certificato medico.

​Oltre al fastidio per il mancato rispetto del mio riposo, sono rimasto infuriato perché il certificato era stato regolarmente inviato. La prova? Dopo la mia risposta, in cui ho fornito il protocollo, il documento è stato caricato silenziosamente nell'applicazione e le ore mi sono state regolarmente retribuite.

​La lettera, un modulo prestampato, recitava che il mio atteggiamento avrebbe "lesionato in modo irreparabile l'immagine aziendale". Mi chiedo quale immagine sia stata davvero lesa. A mio parere, l'unica danneggiata è la mia, così come la mia settimana di ferie, che ho dovuto sprecare per inviare giustificazioni per un errore non mio. Non ho ricevuto nemmeno un semplice messaggio di scuse.

​Credo che in questa vicenda sia stato violato un mio diritto fondamentale, e quello di qualsiasi altro collega che se lo veda negare: il diritto a staccare davvero, a riposare senza l'ansia di dover controllare il telefono per non perdere un'altra contestazione ingiusta

​Nel nostro settore, siamo costantemente esposti a diverse condizioni climatiche e a un microclima spesso ostile. Pioggia, vento, freddo d'inverno e caldo torrido d'estate non sono solo un fastidio, ma un vero e proprio rischio per la salute. Per questo, un periodo di malattia è più che giustificabile, è un diritto.

​A ciò si aggiungono le patologie legate al nostro lavoro: anni passati su una bicicletta, con le continue vibrazioni, possono causare problemi all'apparato scheletrico e, anche se non esistono ancora studi specifici sulle malattie professionali dei rider, possiamo confermare che le conseguenze sul corpo sono molto reali. Le ore trascorse in sella possono portare a problemi, anche a carico delle zone genitali, a causa della continua pressione e delle vibrazioni.

​La cosa più vergognosa è che questo sopruso arrivi da chi si definisce un'azienda "etica". Per anni abbiamo sentito dire che il loro sistema non regge perché i competitor operano al di fuori della legge. E poi, paradossalmente, si comportano come i peggiori, arrivando a contestare un'assenza per malattia e minacciando i propri dipendenti.

​Non dobbiamo avere paura di richiedere un periodo di malattia quando ne abbiamo bisogno. Il diritto a curarsi è un diritto fondamentale, non un capriccio. Dobbiamo pretendere il rispetto per il nostro lavoro e per la nostra salute.


La contestazione aziendale non è l'unica parola valida: hai tutto il diritto di contestarla e di denunciare i soprusi che la lettera disciplinare che riporta.

Non avere paura di dire che si e' ammalati: il diritto a curarsi non è un capriccio


Commenti

  1. Justeat è sempre stata repressiva, quattro anni di lavoro son stati quattro anni di ansia.

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