Rider spremuti come limoni
Rider spremuti come limoni: la realtà dietro la metafora
Il concetto è semplice, e l'immagine parla da sola: i rider sono spremuti come limoni e, una volta che non c'è più succo, vengono gettati via. Ma dietro questa metafora c'è una realtà ben più complessa e preoccupante, che comincia già dal primo giorno di assunzione.
La "visita medica" che molti di noi affrontano è spesso superficiale e blanda. Non c'è da stupirsi: a oggi, non esistono ancora studi specifici che riconoscano le malattie professionali dei rider. Questo significa che le patologie che derivano da anni passati in sella non sono ancora riconosciute, e i rischi che corriamo ogni giorno vengono sistematicamente ignorati.
Ci prendono quando la "buccia" è sana, quando siamo pieni di energia e pronti a produrre. Ci usano fino all'ultima goccia, spremendo senza ritegno per ottenere il massimo della produttività. Ma una volta che il nostro corpo inizia a cedere, quando le vibrazioni della strada si fanno sentire sulle ossa e la fatica si accumula, la nostra "scorza" viene scartata.
Siamo considerati solo finché siamo utili. Una volta che non produciamo più, diventiamo un costo, un problema da eliminare. Non c'è alcun interesse per la nostra salute a lungo termine, né per i problemi che inevitabilmente insorgono.
Questa è la realtà. E finché non ci saranno studi che dimostrino le nostre malattie professionali, il nostro lavoro continuerà a essere visto come un'attività che non lascia strascichi sul corpo, permettendo alle aziende di lavarsi le mani delle conseguenze. Ma noi sappiamo che non è così.
Alcune storie
Il Lavoro Malato di Razam
Razam (nome di fantasia rider subordinato) è un rider epilettico, assunto regolarmente da chi ha inquadrato i rider subordinati. La sua condizione di salute, un giorno, ha avuto conseguenze drammatiche: durante un attacco, è caduto, rompendosi denti e gamba. Un infortunio che lo ha tenuto lontano dal lavoro per mesi, aggravando la sua malattia e costringendolo a lunghi periodi di assenza.
Per l'azienda, questo ha significato un superamento del "periodo di comporto". Si sono sentiti legittimati a licenziarlo. Una scelta non solo ingiusta, ma illegittima, visto che il superamento del comporto era dovuto esclusivamente alla sua patologia. Il licenziamento, perciò, è stato impugnato. Dopo un anno di attesa, l'azienda è stata costretta a reintegrarlo.
Paula e il Lavoro Che Minaccia la Salute
Paula (nome di fantasia rider subordinata) è una madre divorziata con una bambina di 11 anni, assunta come rider. Aveva dichiarato la sua patologia ansiosa in fase di visita medica, riuscendo a tenerla sotto controllo anche grazie ai farmaci. Tutto andava bene fino a febbraio 2025, quando il suo mezzo elettrico si è rotto.
Senza mezzo, senza stipendio. Nonostante abbia chiesto di usare ferie o ROL, il preposto le ha negato un suo diritto fondamentale. Quando ha sostituito il mezzo con una bicicletta muscolare, l'app non ha registrato il cambiamento, violando il D.lgs. 81/08 e costringendola a turni massacranti. Con le sue performance calate, è stata etichettata come "scansafatiche".
A differenza dei finti autonomi, i rider subordinati non solo rischiano di perdere salario, ma sono presi di mira dai preposti con vere e proprie punizioni: disponibilità non rispettate, lettere disciplinari e continue pressioni che violano il diritto alla disconnessione. Questa dinamica ha aggravato la condizione di Paula, rendendo impossibile conciliare lavoro e vita familiare.
Dopo l'ennesimo incidente e non sentendosi più sicura, Paula ha chiesto una visita medica supplementare, che le ha diagnosticato un'inabilità temporanea di 3 mesi, con l'assicurazione di essere retribuita.
Sembrava fatta. Ma al momento della paga, Paula ha scoperto che i primi giorni non erano stati retribuiti. L'azienda ha giustificato la cosa parlando di un "refuso" nella comunicazione e l'ha informata che, di fatto, sarebbe rimasta a loro disposizione senza stipendio né ammortizzatori sociali. Un'ennesima dinamica di abuso che non solo aggraverà la sua salute, ma la metterà in seria difficoltà economica.
La storia di Hassan (nome di fantasia rider subordinato)
Inizia in una giornata di lavoro. Mentre tornava a casa, forse troppo velocemente e dall'altra parte della citta' su un mezzo non adeguato o non controllato dall'applicazione, ha avuto un gravissimo incidente, scontrandosi con una macchina. L'impatto gli ha causato diversi traumi cranici, costringendolo a restare in coma per diversi mesi.
Una volta uscito dal coma, Hassan non è più lo stesso. I danni cerebrali e fisici sono troppo gravi. Inizia così l'iter per l'infortunio.
La storia di Mohammed (nome di fantasia rider autonomo)
La storia di Mohammed è simile a quella di Hassan. A differenza di quest'ultimo, Mohammed non stava tornando a casa, ma era in turno. Anche lui si trovava su un mezzo troppo veloce e non controllato dall'applicazione, se non tramite un'autocertificazione fornita dal rider.
Con la stessa dinamica, si scontra contro un'auto, riportando una lesione così grave da richiedere l'applicazione di diverse viti chirurgiche per ripristinare parzialmente la sua capacità di deambulazione.
Anche per lui inizia l'iter infortunistico, che si conclude con un indennizzo di 9000 euro per danno biologico.
Quattro storie diverse, unite da un fattore comune: la mancanza di trasparenza e l'assenza di tutele nei contratti di lavoro per i rider. Le aziende che gestiscono queste piattaforme non verificano in modo adeguato le condizioni fisiche dei lavoratori e l'idoneità dei loro mezzi.
Per aggirare la sottile linea della legalità, queste applicazioni richiedono ai rider un'autocertificazione, un documento che non consente alcun controllo effettivo sulla veridicità di quanto dichiarato.
L'aspetto più preoccupante emerge quando un rider non è più 'utile' al sistema. A causa di un incidente o dello stress psicologico derivante da un algoritmo che impone ritmi e stili di vita insostenibili, i lavoratori vengono abbandonati a sé stessi. Si verifica così il triste fenomeno che dà il titolo a questa riflessione: i rider vengono spremuti come limoni e, una volta che non c'è più succo, la scorza viene gettata via
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