Rider: Vite a Pedali, Futuri Infranti - L'Abuso Silenzioso delle App



 



Bassa scolarizzazione, una forza lavoro multietnica con sogni e necessità diverse, l'ingannevole promessa di un impiego temporaneo: ecco il fertile terreno su cui le multinazionali del delivery costruiscono il loro impero. Un esercito di invisibili, intrappolati in una spirale di sfruttamento che li trasforma in meri strumenti, pedine sacrificabili in un gioco più grande che non gli appartiene.

L'illusione è potente: "lavora quando vuoi, quanto vuoi". Ma la realtà è un brutale risveglio fatto di turni estenuanti, di una "formazione" non retribuita fatta di chilometri e consegne incessanti, che consuma corpo e anima, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Per i rider extra comunitari, questa condizione è una vera e propria prigione. Immersi in un lavoro che fagocita ogni loro energia e ogni minuto disponibile, come possono anche solo immaginare di frequentare un corso di formazione, di imparare la lingua del paese che li ospita, di costruirsi un futuro che vada oltre la prossima consegna? La speranza di integrazione si scontra con la dura realtà di una fatica alienante che non lascia spazio ad altro.

I lavoratori studenti vedono i loro sogni di un futuro professionale svanire ad ogni pedalata, ad ogni consegna. Le ore necessarie per guadagnare qualche soldo si trasformano in un ostacolo insormontabile per seguire i corsi, studiare, prepararsi per gli esami. L'apparente flessibilità si rivela una trappola che compromette il loro percorso formativo, condannandoli a un presente precario e a un futuro incerto.

E gli esodati, coloro che si sono ritrovati in questa attività in un momento di transizione, rischiano di vedere la loro vita scorrere via tra le strade, in sella a uno scooter o al volante di un'auto. La promessa di un impiego temporaneo si trasforma in una condanna a un lavoro usurante, senza prospettive di crescita, che li allontana sempre più da una vera reintegrazione nel mondo del lavoro.

Questi tre fattori – la vulnerabilità di chi ha poche alternative, la frammentazione di una forza lavoro con bisogni diversi, e la menzogna di una temporaneità che si protrae all'infinito – sono le armi silenziose che rendono il gioco così facile per le multinazionali. Un sistema che prospera sull'indigenza, che si nutre della disperazione, che trasforma la necessità in catene invisibili.

È ora di alzare la voce, di rompere questo silenzio complice. La "flessibilità" non può e non deve essere un alibi per lo sfruttamento. La diversità non deve essere una scusa per negare i diritti. Il "lavoretto" non può e non deve diventare una condanna a vita.

Pretendiamo rispetto, tutele, dignità per ogni singolo rider, indipendentemente dalla sua origine, dal suo titolo di studio o dalla sua situazione personale. Vogliamo un futuro in cui il lavoro sia sinonimo di opportunità, di crescita, di realizzazione, non di fatica alienante e di sogni infranti. È tempo che le multinazionali si assumano le loro responsabilità e che le istituzioni smettano di voltare la testa di fronte a questo abuso silenzioso. Le vite dei rider non sono merce da consegnare a domicilio.

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