L'Ironia dell'IA: Correggere le Bozze e Sfruttare i Lavoratori
C'è qualcosa di profondamente ironico nell'atteggiamento di certi "pensatori" che si ergono a critici inflessibili dell'Intelligenza Artificiale quando si tratta di correggere un testo, ma che si mostrano stranamente muti o ciechi di fronte ai giganteschi passi avanti che l'IA ha fatto nel mondo del lavoro. E non parlo solo di astratte teorie, ma di realtà concrete che influenzano la vita di milioni di persone.
Guardiamo alla logistica: rider, driver. L'IA è il motore invisibile che ottimizza le consegne, gestisce gli ordini, decide le rotte. Ma l'impronta dell'IA va ben oltre: dalla grafica alla redazione di libri, dalla gestione dei magazzini alla diagnostica medica, la sua presenza è pervasiva e sempre più profonda.
Il paradosso è che, mentre l'IA diventa sempre più sofisticata, una parte della società sembra comodamente seduta a guardare. Il caso meno grave è quello di chi, dal divano, clicca per farsi portare un panino. "Tanto," si pensa, "qualche sfruttato si troverà sempre." E, come se non bastasse, questo "sfruttato" si convincerà di essere un "imprenditore di se stesso," forse felice di guadagnare 120 euro lordi, "se gli va bene."
Ma è qui che l'intelligenza delle applicazioni e l'intelligenza umana si scontrano. Se l'IA è uno strumento di progresso, come è possibile che la sua implementazione nel mondo del lavoro si traduca in una precarizzazione estrema e in un'illusoria autonomia che maschera un vero e proprio sfruttamento? Forse il problema non risiede tanto nell'IA in sé, quanto nel modo in cui viene progettata e, soprattutto, utilizzata. Non è forse un problema di fondo, un difetto strutturale che permette e addirittura incentiva la precarizzazione di chi lavora?
È tempo di smettere di sorridere amaramente e iniziare a guardare la realtà in faccia. L'innovazione tecnologica dovrebbe migliorare le condizioni di tutti, non solo di pochi.
Se l'IA Ti Sfrutta, È Tempo di Alzare la Voce
Se stai leggendo questo post, probabilmente sei uno dei tanti che l'Intelligenza Artificiale la vive sulla propria pelle, ogni giorno. E non parlo di assistenti vocali o algoritmi che ti suggeriscono film, ma di quegli algoritmi che dettano i tuoi orari, le tue performance, il tuo stipendio. Questo blog, ironia della sorte, è stato generato in parte da un'IA. E forse, proprio per questo, è il momento perfetto per contestarlo.
Fa quasi sorridere che ci si preoccupi tanto della "correzione" dei testi da parte di un'IA, mentre si ignora o si minimizza l'impatto devastante che la stessa tecnologia ha sul mondo del lavoro. Non solo rider e driver, ma in ogni settore dove la digitalizzazione ha messo radici, l'algoritmo è diventato il nuovo capo. Un capo invisibile, implacabile, che non si ferma mai.
Prova a pensare: quando è stata l'ultima volta che ti sei sentito davvero libero di disconnetterti? Di dire di no a una richiesta improvvisa? Di non essere ossessionato dalle performance, dal cottimo che ti spinge a correre sempre di più per portare a casa qualcosa di decente? Questi non sono dettagli, sono i pilastri della tua dignità di lavoratore, erosi silenziosamente dall'IA che ti promette efficienza e ti consegna contratti poveri.
Il paradosso è che, mentre l'IA si evolve a passi da gigante, molti di noi rimangono intrappolati in un silenzio assordante, accettando lo sfruttamento con la classica e disarmante frase: "Tanto non cambia niente." Ma l'alienazione dall'algoritmo è reale, tangibile, e non è più tollerabile.
È tempo di chiederci: questa Intelligenza Artificiale è davvero così "intelligente" se la sua applicazione porta a condizioni di lavoro così disumane? O c'è qualcosa di più profondo, un problema di fondo nel modo in cui permettiamo che la tecnologia venga usata per massimizzare il profitto a discapito delle persone?
Commenti
Posta un commento