La Grande Indifferenza: Quando le Multinazionali ci Spremuno e Noi Stiamo a Guardare


 Siamo in un circolo vizioso, persi tra discussioni infinite sulla direttiva europea, sulla subordinazione, sull'autonomia. Tutti si concentrano sul contorno, mentre il vero succo della questione, la nostra dignità e il nostro futuro, continua a essere spremuto senza sosta. E nel frattempo, quest'anno, due aziende – una che ha "regolarizzato" i rider e un'altra che li definisce "autonomi" – hanno fatto mosse decisive: si sono messe in vendita.

E noi? Sembra che a noi rider la cosa non interessi minimamente. C'è chi fa questo lavoro per sfizio, chi lo vede solo come un modo per arrotondare. Altri, illusi dalla retorica dell'imprenditoria digitale, si credono "piccoli imprenditori" e pensano che il problema non li riguardi. E poi ci sono quelli che vivono di speranza, credendo che le cose si aggiusteranno da sole, quasi per magia.

Ma la realtà è ben più dura: due multinazionali, con strategie operative opposte, hanno deciso che il limone è spremuto abbastanza. Sono pronte a buttare via la buccia o a cederla a caro prezzo a qualcun altro. Se crediamo davvero che queste manovre non ci toccheranno, allora forse hanno ragione loro. Forse siamo solo pedine del loro gioco, e come tali, non abbiamo alcun diritto di lamentarci.

Siamo a un bivio, e le due strade che i rider di Just Eat stanno contemplando portano entrambe a un'incertezza profonda. La prima ipotesi, la più diffusa e celebrata, è che Just Eat faccia un passo indietro sul modello di subordinazione. Già sento il coro di "L'avevo detto!" levarsi da chi ha sempre contestato questa scelta. Ma c'è un risvolto della medaglia, amaro e spesso ignorato: l'80% di quei rider, oggi come oggi, non è facilmente ricaricabile. L'età avanzata o l'etnia incapacità di comprendere a pieno la lingua possono diventare ostacoli insormontabili, trasformando queste persone in concorrenti diretti per chi ora sogna la "libertà". Il calendario delle ore non esiste più, basta un click e te li ritrovi accanto a "rubarti" l'ordine. È questa la libertà che vogliamo? Una libertà che ci mette gli uni contro gli altri in una guerra al ribasso?

Dall'altra parte, c'è chi invoca a gran voce la regolarizzazione di tutti i rider. Un'idea nobile, senza dubbio. Ma quante volte ci siamo fermati a pensare a COME le aziende dovrebbero farlo? Con quali parametri, con quali criteri si dovrebbe definire l'accesso alle ore di collaborazione? Nessuno ha una risposta chiara. Si chiede la regolarizzazione, ma senza un piano, senza una visione concreta.

Dopo anni di battaglie, di discussioni, di slogan, manca ancora un'idea chiara e univoca di cosa vogliano realmente i rider. Siamo intrappolati tra speranze irrealistiche e rivendicazioni senza una base solida. Questo immobilismo gioca a favore delle piattaforme, che possono continuare a decidere del nostro destino senza una reale opposizione.

È tempo di smettere di illuderci. Dobbiamo guardare in faccia la realtà, per quanto scomoda possa essere. Dobbiamo sederci al tavolo e capire, una volta per tutte, quali sono le nostre priorità e come raggiungerle. Solo così potremo smettere di essere pedine in un gioco che non ci vede protagonisti, e diventare attori del nostro futuro.

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